Church of Euthanasia

The One Commandment:
"Thou shalt not procreate"

The Four Pillars:
suicide · abortion
cannibalism · sodomy

Human Population:
SAVE THE PLANET
KILL YOURSELF




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In conversation with: Chris Korda

Di Chiara Pignoloni

“Church of Euthanasia è stata ispirata da un sogno nel quale mi sono confrontata con un’intelligenza aliena, conosciuta come l’Essere, che mi ha parlato in nome degli abitanti della Terra, in altre dimensioni. L’Essere mi ha avvertito riguardo al fallimento dell’ecosistema del nostro pianeta, fallimento che i nostri leader continuano a negare. L’Essere mi ha chiesto perché i nostri leader ci mentono e perché così tanti di noi credono a queste bugie. Svegliandomi dal sogno ho sussurrato lo slogan della Chiesa: Save the Planet - Kill Yourself ?. -Chris Korda

Eclettica, fuori dalle righe, iconica, provocatoria.

Sono tutti attributi che calzano a pennello all’artista, compositrice, attivista, programmatrice di software e cross-dresser: Chris Korda.

Una delle icone metropolitane della controcultura made in Usa più controverse del XX secolo. Un’identità, la sua, con tante sfumature, tante quante le vicissitudini del suo movimentato percorso, artistico e di vita.

Newyorkese trapiantata a Berlino, Chris, è uno dei nomi che, nell’ultimo anno, ha tenuto più in vita la scena musicale elettronica europea, facendosi notare con il suo LP pubblicato su Perlon, “Akoko Ajeji”. Un disco unico nel suo genere, fatto di suoni straordinari e visioni senza confini, primo album della storia interamente composto in polimeri complessi, grazie al software da lei stessa programmato.

Nonostante sia considerata il nuovo volto di Perlon, Chris ha in realtà dietro di sé un background nell’industria della musica elettronica che comincia ben trent’anni fa. Scoperta per caso da DJ Hell, figura di spicco della scena underground tedesca e proprietario dell’importante etichetta “International Deejay Gigolo”, Chris, spinta da una dinamica più complessa rispetto alla maggior parte degli artisti di questa scena, diventa protagonista di diverse uscite, con hit da club che contengono però una dura dichiarazione eco-politica, il che le rende estremamente significative.

Abitata da una sensibilità punk e allo stesso tempo queer, la sua musica è un mix di generi arricchiti da voci sintetiche che insieme creano un cocktail sonoro fuori dal comune.

Il suo lavoro fino ad oggi più provocatorio e iconico, rimane infatti “Church of Euthanasia” (CoE), un’organizzazione religiosa (in realtà un movimento attivista di consapevolezza sociale) il cui obiettivo era quello di salvare la Terra dal collasso ambientale, attraverso la riduzione volontaria della popolazione.

Ispirata dalle tradizioni del movimento Dada, la CoE era attiva a Boston già dai primi anni ‘90 e in seguito a una serie di manifestazioni bizzarre e spesso esilaranti per scioccare gli spettatori, raggiunse milioni di americani attraverso un’apparizione al “The Jerry Springer Show”.

I quattro pilastri della Chiesa, stabiliti attorno all’unico comandamento “Thou Shalt Not Procreate”, erano: suicidio, cannibalismo, sodomia e aborto; e lo slogan provocatorio del Reverendo Chris: “Save the Planet, Kill Yourself”.

Uno slogan che, in un momento storico come questo, in cui l’umanità sta iniziando a rendersi davvero conto della crisi ecologica in atto, è più rilevante di quanto non lo fosse due decenni fa.

CoE è ancora tecnicamente attiva, ma più come una reliquia che come un movimento vero e proprio. Il suo nuovo orientamento si basa su un sentimento di dispiacere nei confronti della razza umana, poiché ormai è troppo tardi perché la misantropia faccia molta differenza per il futuro del nostro pianeta.

Chris ha risposto alle mie domande da inguaribile curiosa, domande che vogliono far conoscere ai lettori di t-mag non solo l’artista, ma anche la persona dietro di esso e il percorso che lo ha portato a diventare il controverso e intrigante personaggio che è oggi.

CHIARA: Partiamo dall’inizio. Raccontaci un po’ della tua storia. Com’è stato crescere a New York e come sei venuta a contatto con la musica?

KORDA: Ho visto fiumi di persone fluire attraverso i canyon urbani, interminabili file di edifici modernisti che raschiavano le nuvole come fossero denti. In estate, una cupola rossa incandescente di inquinamento atmosferico copriva l’intera città. Allora c’erano meno macchine, ma non avevo imparato ad andare in bicicletta perché il traffico era troppo pericoloso. New York sembrava lo show televisivo degli anni ‘50 “The Honeymooners”. Era una società per lo più borghese. Le persone avevano piccoli appartamenti con arredi modesti e non se ne vergognavano ed erano più solidali, perché gli orrori della Seconda Guerra Mondiale erano ancora storia recente. I governi avevano attaccato l’aristocrazia ridistribuendo la ricchezza. Ad esempio, l’anno in cui nacqui, l’aliquota fiscale massima federale era del 91%, una cosa inconcepibile oggi. Ho incontrato persone provenienti da tutto il mondo e sono diventata cosmopolita. Ero ricercata, amata e ho trascorso gran parte della mia infanzia a leggere. Mi sono appassionata alla musica ascoltando la collezione di dischi Rock di mia madre.

C: Qual è stata la tua evoluzione come artista e performer e come è iniziata la tua sperimentazione sul genere e quindi con il crossdressing?

K: Sono stata fortemente influenzata dal Progressive Rock, in particolare dagli “Yes” e da opere come “Jesus Christ Superstar”. Ho cantato nel coro della mia scuola, ho suonato vari strumenti in modo informale per poi iniziare a studiare la chitarra seriamente a 16 anni. Ho studiato armonia e frequentato brevemente il “Berklee College of Music” a Boston. Ho anche studiato per anni con il sassofonista Jazz, Jerry Bergonzi. Ho scoperto per caso di avere un’insolita attitudine per la programmazione informatica e, non riuscendo a guadagnarmi da vivere come chitarrista, ho iniziato una carriera durata 35 anni come sviluppatore di software. Mi sono travestita di tanto in tanto nell’infanzia e durante tutti i miei vent’anni, ma non ho preso la cosa sul serio fino all’Halloween del 1990, quando è avvenuto il mio coming out come cross-dresser. Mi sono poi trasferita a Provincetown, in Massachusetts (un “resort” per la comunità gay, dove andava bene travestirsi senza preoccuparsi di essere giudicati), gareggiando nelle Drag Ball e in quel periodo mi sono avvicinata alla scena Deep House, che mi ha ispirato per iniziare a comporre musica elettronica.

C: La tua lotta ambientalista è stata lungimirante riguardo ciò che sta accadendo oggi a livello globale. Come è nata l’idea di Church of Euthanasia?

K: Mia madre ha sempre sostenuto che il mio ambientalismo derivi dalla sua lettura del libro “Silent Spring” di Rachel Carson, mentre era incinta. In realtà, la causa più probabile, sono stati i libri che ho letto, come “God’s Own Junkyard”, un saggio fotografico che mostrava l’impatto dei cartelloni pubblicitari e dei rifiuti sui paesaggi suburbani. Ho sviluppato così un fascino permanente per la bruttezza della civiltà industriale. L’ambientalismo era nuovo e la pulizia, dopo decenni di inquinamento industriale, era appena iniziata. Sono rimasta anche profondamente scioccata dalle prime storie sui cambiamenti climatici lette sul New York Times. Ho capito da subito, intuitivamente, l’unicità dell’umanità, le nostre differenze radicali dagli altri mammiferi e il nostro conseguente dominio della terra. Crescendo nell’era spaziale, ho afferrato la scala cosmica e l’indifferenza totale dell’universo. Da adolescente ho avuto una visione psichedelica degli umani che “ballavano la loro danza funky”, procreando e consumando incessantemente, senza limiti, e questa visione divenne Church of Euthanasia.

C: Come sei entrata invece in contatto con il mondo del clubbing e quindi ad approcciarti alla musica elettronica?

K: All’inizio degli anni ‘80 sono entrata in alcune discoteche di New York, tra cui Magique, Tunnel e Limelight. Negli anni ‘90 ho sentito spesso la Deep House e la Techno in club di Boston come Venus de Milo e Axis. Un’altra forte influenza fu la stazione radio del Boston College WZBC, in particolare un programma chiamato Acid Burn. WZBC aveva un format, NCP (No Commercial Potential), che spesso presentava collage sonori. Il mio primo album realizzato in quel periodo (“Demons In My Head”) divenne molto popolare al WZBC, questo mi ha incoraggiata a produrre di più. A volte ho eseguito dei veri e propri live usando il mio software (Mixere), creando collage come “I’ll Just Die If I Don’t Get This Recipe” (disponibile su archive.org). Ho anche aiutato a fondare un party Techno di lunga data a Boston, chiamato Circle. La prima festa fu un’occasione per testare il mio set Techno dal vivo, prima di debuttare all’Ultraschall di Monaco nel 1998.

C: Cosa rappresenta per te la musica e come è nata l’idea di usarla come canale per diffondere il tuo messaggio ecologista?

K: Quando Church of Euthanasia iniziò nel 1992 stavo già facendo musica elettronica. Le mie prime tracce (“Magic Cookie” e “Paradigm”) erano strumentali. Church of Euthanasia ha iniziato a sconvolgere gli eventi realizzati da altre organizzazioni, ad esempio mettendo in scena un barbecue di un feto durante una manifestazione a favore della vita. Le manifestazioni sono diventate sempre più teatrali e hanno coinvolto molti oggetti di scena, uno dei quali era il “Baby Blaster”, una carrozzina degli anni ‘60 che nascondeva un sistema audio portatile assordante. Ero l’autrice dei nastri audio del Baby Blaster e molti di essi alla fine si sono trasformati in tracce Techno, come ad esempio “Buy / Buy More” e “Fleshdance”, che inizialmente erano entrambi esclusivamente vocali. Un altro nastro presentava un bambino urlante sovrainciso in modo che otto bambini urlassero contemporaneamente, lo stesso bambino più tardi si trasformò in “Six Billion Humans Can’t Be Wrong”. I miei progetti dance e agit-prop si sono fusi nella classic Techno track “Save The Planet, Kill Yourself”.

C: Cosa ti ha portato a creare il tuo stile innovativo che utilizza i polimeri complessi nella produzione Technoce da cosa sei ispirata?

K: Ho scoperto il polimero per caso nel 1993, perché il sequencer software che stavo usando a quel tempo (DOS Cakewalk) permetteva a ogni traccia di avere la sua lunghezza indipendente di loop. All’epoca non ero a conoscenza di Steve Reich e senza dubbio ho reinventato alcune delle sue scoperte. Presto ho visualizzato tecniche di polimero più avanzate e ho iniziato a scrivere il mio sequencer, che ho usato dal 1998 al 2003, sia per la composizione che per l’esecuzione delle tracce. Il mio sequencer aveva limiti frustranti, che mi hanno portato ad abbandonarlo per oltre un decennio. Ho iniziato a lavorare su una versione più sofisticata nel 2017 e da allora l’ho usata per creare “Akoko Ajeji” e tutto il resto. Il mio sequencer si chiama “Polymeter” ed è gratuito e open source. Ciò che mi ispira sono l’album “Solo Concert” di Ralph Towner e artisti outsider come James Hampton, ma la mia più grande ispirazione è Thomas Wilfred. Alcune delle macchine “Lumia” di Wilfred permutano per anni senza ripetersi. Come Wilfred, realizzo phase art.

C: Indiscutibilmente hai “personalità multiple”. Sei una compositrice, un’artista, una leader di culto e una programmatrice di software musicali e di digital art. Da dove arriva la necessità di creare un programma per comporre la tua musica?

K: Come ha detto Walt Whitman: “Sono grande, contengo moltitudini”. In passato, ero limitata dalla mancanza di tecnica strumentale, ma ho superato questo problema creando interfacce specializzate che consentono approcci insoliti all’espressione musicale. Per ottenere risultati unici, avere strumenti unici aiuta. Mi piace inventare macchine con cui interagire e mi sento fortunata a possedere le competenze necessarie per farlo. La musica più popolare è in 4/4 e utilizza alcune scale comuni, principalmente quella maggiore. La musica da club ricicla lo stesso schema ritmico (il backbeat) da decenni. Un cambiamento era atteso da tempo. Vedo la musica popolare come un’isola. L’isola è piena di gente che presume che essa sia tutto. Ma questa isola è circondata da un vasto mare, un mondo sconosciuto, nascosto, ma in bella vista. Posso solo esplorare una piccola parte di quel mondo nascosto, ma spero che altri mi seguiranno.

C: Parlando della tua carriera musicale, la Germania ha sicuramente un ruolo fondamentale. I tuoi mentori sono stati, niente meno che, Dj Hell, che negli anni ‘90 ha pubblicato due dei tuoi dischi più importanti sulla sua etichetta “International Deejay Gigolo” e Zip, che ti ha pubblicato sulla sua leggendaria “Perlon”. Perchè, secondo te?

K: “Save the Planet, Kill Yourself” ha impiegato un anno per essere realizzato ed è stato originariamente pubblicato sulla mia etichetta, la “Kevorkian Records”. È stato apprezzato solo in due città americane: Chicago e Detroit. DJ Hell lo ascoltò più tardi, a New York, e lo riportò a Monaco. Le white labels erano la norma, ma Gigolo Records interruppe questo, promuovendo invece shock e glamour. Quindi il mio tempismo fu perfetto. Techno ed Electro sono state costantemente popolari in Europa e soprattutto in Germania, ma c’è una ragione più profonda per cui ho trovato un pubblico ricettivo in Germania: l’Olocausto. La colpa collettiva era legata alla società tedesca del dopoguerra. Nessun’altra nazione ha espresso vergogna a tal punto. Anche Church of Euthanasia sostiene la colpa collettiva, ma a livello di specie. Vergognarsi del proprio paese è un passo importante verso quello successivo di provare vergogna della propria specie. La Germania mi ispira e sono grata di aver trovato una nuova casa qui, grazie a Zip.

C: Nel 1998 sei andata in tournée europea per il tuo secondo disco su Gigolo Records, “Sex is good”. Come è stata accolta la tua musica dal pubblico in quegli anni e qual’è stata la reazione della gente quando ti ha visto suonare con un computer e non con i giradischi?

K: Nel 1998 ho visitato la Germania tre volte e mi sono esibita al Futura Festival di Sarajevo. Church of Euthanasia era apparsa di recente nello spettacolo di Jerry Springer in America e un’ondata di disprezzo cominciava a riversarsi su di essa. La mia attrezzatura consisteva in un PC desktop e borse da viaggio piene di hardware e cavi. Questo attirò addirittura l’attenzione gli agenti doganali che mi fermarono e cercarono di spaventarmi. Le esibizioni live erano comuni, ma in genere abbastanza brevi. Riproducevo solo i miei brani che uscivano in modo diverso ogni volta. Le persone erano curiose dell’interfaccia del mio software, modellata su un controller di illuminazione. Il crossdressing era ancora insolito ed eccitava le persone. Il mio atto era estremamente politico in un momento in cui questo era quasi inaudito nella musica Techno. Allo stesso tempo era anche glamour e sexy, il che era altrettanto insolito in quel momento. Lo spettacolo è stato intenso e veloce, con un picco di 152 BPM con “Fleshdance”. Le persone danzavano come se la loro vita dipendesse da questo.

C: In un’industria musicale così conformista la tua voce è sempre stata fuori dal coro, ma, come sei passata da un lavoro così provocatorio come “Six Billion Humans Can’t Be Wrong” (1999) con testi che esprimevano un così forte messaggio ecologico e politico, ad un disco come “Akoko Ajeji” (2019), basato solo su armonie, in cui ti sei ispirata al linguaggio Yoruba per i titoli dei brani? Cosa è cambiato in Chris Korda negli ultimi dieci anni?

K: Ho raggiunto l’età adulta appena in tempo per i movimenti Post-Punk, Cyberpunk e Zine. Il film “Liquid Sky”, del 1982, ha cambiato radicalmente i miei gusti e mi ha mostrato il potenziale artistico degli strumenti elettronici. Alla fine degli anni ‘80 ho suonato in gruppi Hardcore di Boston e ho partecipato a molte feste nei loft. Durante la mia vita, il neoliberismo ha sistematicamente smantellato l’ordine post-Seconda Guerra Mondiale, partendo da Reagan e dalla Thatcher nel 1980, portandoci oggi ad affrontare la disuguaglianza economica derivante dalla “Gilded Age” e la catastrofe ambientale. Non sorprende quindi che il mio lavoro sia spesso politico, ma la mia relazione amorosa con la musica ha una sua vita. Mi sono innamorata dell’armonia in tenera età, ascoltando gli organi della chiesa e cantando nei cori. L’esposizione alla spettralità primordiale dell’Acid Rock e alle ambigue tonalità del Jazz ha approfondito il mio amore. Ultimamente ho esplorato la teoria della musica atonale e le lezioni di pitch. Sono obbligata a seguire la mia musa ovunque mi porti.

C: A cosa stai lavorando in questo momento e quali sono i tuoi progetti e le tue releases future?

K: Il nuovo album dei Church of Euthanasia, “Apologize to the Future” è in uscita su Perlon a metà Luglio. Per quanto ne so, questo è il primo album interamente sui cambiamenti climatici, la singolarità, la disuguaglianza economica, l’ingiustizia intergenerazionale, l’antinatalismo e l’estinzione umana. È raccontato dal punto di vista delle generazioni future. Lo stile è difficile da classificare ma potrebbe essere descritto come Electro Rap. Alcune tracce sono più Techno, altre sono più frenetiche, ma sono tutte in polimero complesso e ritmicamente dispari. Armonicamente si inclina maggiormente verso il Jazz o la Classica d’avanguardia. L’album contiene più testi di tutti i miei precedenti lavori combinati e fanno rima, quindi mi sto preparando a diventare il “Bob Dylan dei cambiamenti climatici”. Sto anche producendo due video musicali per l’album. Dopo di che pubblicherò un album di piano solista, che è il sequel del mio album “Polymeter” su Mental Groove.

C: Un’ultima domanda. Qual è la tua visione del mondo e cosa vuoi lasciare con la tua “impronta sonora”?

K: Quasi tutto ciò che sappiamo sull’universo è stato scoperto negli ultimi millenni. Prima di allora, gli umani erano idioti infantili, rannicchiati nelle caverne o sugli alberi. Il pensiero magico ci proteggeva dall’insensata brutalità del nostro ambiente. Il nostro prodigioso desiderio sessuale ha contribuito a compensare la mortalità infantile estrema. La nostra attenzione esclusiva al presente ci ha reso cacciatori di successo. Ma nel mondo moderno, tutti questi attributi sono mostruosi. Oggi la nostra sopravvivenza dipende dalle idee. Il mondo delle idee, che chiamiamo civiltà, è ciò che ci rende interessanti e che vale la pena salvare. Paradossalmente, molte di queste idee stanno anche assicurando la nostra estinzione. Forse l’intelligenza si spegne e forse questa è la soluzione al paradosso di Fermi. Lo scopriremo presto. Ad ogni modo, sono grata per i doni che la società mi ha dato. Ho vinto la lotteria degli spermatozoi e ho fatto del mio meglio per sdebitarmi.

Special thanks to Enrica Pelizzari

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